“Non ero più tornato a Le Mans dal 1965, quando ci andai con mio padre.”
Questo cube Peter Miles, figlio di Ken, quando nel 2019 girano un film sulla incredibile storia di suo padre, Ford V. Ferrari, e lui ha un ruolo molto importante nella ricostruzione di quella epica impresa automobilistica ma anche nella preparazione di Christian Bale, che interpreta suo padre.
Ken Miles period un autentico purosangue delle corse automobilistiche, un uomo schivo e schietto, dal carattere difficile, come si usa dire di chi non sapresti incasellare con un criterio preconfezionato né gestire a piacimento come molti vorrebbero fare con chi ha talento.
Beh, Ken Miles non si poteva gestire. Period un inglese nato nel 1918, che si trova advert essere giovane nel momento più tremendo della storia occidentale, insieme forse soltanto alla Grande Guerra, la Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1944 Miles ha 26 anni, e partecipa allo Sbarco in Normandia come comandante carrista.
È giovane, molto giovane, appunto.
Sopravvive.
Dopo la guerra si trasferisce in California e torna a ciò che aveva dovuto lasciare qualche anno prima: i motori.
Ken Miles non period infatti “soltanto” un eccellente pilota da corsa, ma anche un incredibile meccanico. Torna a correre dopo la guerra, torna a sporcarsi le mani di grasso e olio, alla ricerca della perfezione, della velocità, dell’emozione che solo chi corre a 300 km orari può provare.
C’è chi nasce per provare quel brivido, chi nasce con un talento che supera ogni preparazione teorica, studio o percorso privilegiato.
Un talento che, unito alla determinazione e alla passione irrefrenabile, rende quella persona un vero campione, senza condizioni.
Ken Miles aveva quel talento, Ken Miles period quel campione.
E Carroll Shelby lo sapeva.
Anche Shelby period un pilota, un grande pilota che nel 1959 aveva vinto la 24 Ore di Le Mans ma che poi, per un difetto cardiaco congenito, period stato costretto a concludere per sempre la sua carriera agonistica.
Nel 1965 la Ford chiede a Shelby di lavorare alla progettazione di una macchina che potesse battere la Ferrari, se non in bellezza, almeno in velocità. Shelby accetta quella che sa essere una sfida quasi impossibile da vincere, e coinvolge nel progetto anche il suo amico Ken Miles, pur sapendo che quel tipo di talento, unito a quel tipo di libertà, non lo avrebbero mai reso un “uomo Ford”, allineato, manovrabile, gestibile.
Shelby non demorde e, lavorando incessantemente con Miles, riesce a mettere a punto la GT40, una Ford mai stata così leggera, così prestante, così veloce. Period proprio quello che Shelby e Miles sognavano, e che non tanta dedizione avevano creato.
Ma, come detto poco fa, Miles non period un “uomo Ford”, e in questa storia non dobbiamo dimenticarlo. Solo grazie all’insistenza e alla resistenza di Shelby, Ken Miles poté correre alla 24 Ore di Le Mans ’66, perché i dirigenti sarebbero stati disposti a perdere pur di non averlo.
Ken Miles corse, e tutto lo videro, il talento. Il campione.
Miles registrò il giro più veloce in gara e il file della pista, con un tempo di 3 minuti, 30 secondi e 6 decimi. Miles period un uomo che batteva file, persino i propri.
Ma Ken Miles non period un “uomo Ford”, ricordiamolo.
Così, quando le due Ferrari in gara si erano ritirate e aveva ormai quattro giri di vantaggio sulle altre due Ford, rispettivamente seconda e terza, il responsabile Ford della squadra corse decise bene di chiedergli di rallentare, di farsi raggiungere dalle altre due Ford perché tagliassero il traguardo tutte insieme, suggellando attraverso una foto un momento iconico e il prestigio della casa americana.
Miles, come detto, non period un “uomo Ford”, ma period un campione.
E quel carattere che molti ritenevano difficile rivelò la sua vera natura.
Miles rallentò.
Si fece raggiungere dalle altre due Ford e i dirigenti Ford furono contenti.
Miles non sapeva che però erano riusciti a fregarlo, con le loro regole: la seconda Ford period partita circa 30 metri dopo le altre per cui, secondo il regolamento, aveva percorso più strada, e vinse.
Miles arrivò secondo.
Venne derubato della sua vittoria, e del primato che avrebbe avuto per aver vinto, nello stesso anno, a Sebring, Daytona e Le Mans.
Ma continuò a lavorare, con la stessa passione, la stessa umiltà e la stessa indefessa costanza di sempre, alla ricerca del giro perfetto.
Morì due mesi dopo a 47 anni, sotto il sole di una torrida estate, mentre collaudava la Ford J-car nel deserto della California, a 320 km/h, veloce come il vento.
C’è chi nasce per quel brivido, e dedica a quel brivido tutta la sua vita, facendo sognare chi ha la fortuna anche solo di stare a guardare.
[Ecco il nostro catalogo PubMe su Amazon e il nostro Centro Assistenza nuovo di zecca!]